White list e silenzio inadempimento
Illegittimo il silenzio serbato dalla Prefettura sulla istanza di una impresa volta all’iscrizione nell’elenco dei fornitori di beni, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (c.d. white list).
Va dunque accolto il ricorso promosso contro il silenzio inadempimento con conseguente ordine all’amministrazione resistente di provvedere in maniera espressa sull’istanza di iscrizione nella white list.
In questo senso, milita il tenore dell’art. 3, commi 2 e 3, del d.p.c.m. 18 aprile 2013.
“2. L’iscrizione – recita la norma in parola – è disposta dalla Prefettura competente all’esito della consultazione della Banca dati nazionale unica se l’impresa è un soggetto ivi censito ed è possibile rilasciare immediatamente l’informazione antimafia liberatoria ai sensi dell’art. 92, comma 1, del Codice antimafia. La Prefettura comunica il provvedimento di iscrizione per via telematica ed aggiorna l’elenco pubblicato sul proprio sito istituzionale ai sensi dell’art. 8.
3. Qualora dalla consultazione della Banca dati nazionale unica risulti che l’impresa non è tra i soggetti ivi censiti ovvero gli accertamenti antimafia siano stati effettuati in data anteriore ai dodici mesi ovvero ancora emerga l’esistenza di taluna delle situazioni di cui agli articoli 84, comma 4, e 91, comma 6, del Codice antimafia, la Prefettura competente effettua le necessarie verifiche, anche attraverso il Gruppo interforze di cui all’art. 5, comma 3, del decreto del Ministro dell’interno 14 marzo 2003. Nel caso in cui sia accertata la mancanza delle condizioni previste dall’art. 2, comma 2, la Prefettura competente, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, adotta il provvedimento di diniego dell’iscrizione, dandone comunicazione all’interessato. Il diniego dell’iscrizione è altresì comunicato ai soggetti di cui all’art. 91, comma 7 bis, del Codice antimafia. Diversamente, la Prefettura competente procede all’iscrizione dell’impresa. La Prefettura competente conclude il relativo procedimento nel termine di novanta giorni a decorrere dalla data di ricevimento dell’istanza di iscrizione”.
Ebbene, in virtù di una simile previsione normativa, è da escludersi che il Prefetto possa legittimamente sottrarsi all’obbligo di pronunciarsi in via espressa sulla domanda di iscrizione nella white list presentatagli dall’impresa interessata (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. I, n. 1161/2016), ferma restando, naturalmente, la piena discrezionalità del suo potere valutativo in merito alla sussistenza o meno del tentativo di infiltrazione mafiosa.
Oltre all’acclarato obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 3, commi 2 e 3, del d.p.c.m. 18 aprile 2013, sussiste pure, nella specie, l’inerzia dell’amministrazione intimata, atteso che quest’ultima non risulta essersi pronunciata con un provvedimento espresso e definitivo, nonostante lo spirare del termine di 90 giorni ex art. 3, comma 3, del d.p.c.m. 18 aprile 2013.
E’, infatti, evidente che l’operatore economico non può non vantare un interesse anche reputazionale-curriculare all’inserimento nell’elenco dei fornitori di beni, prestatori di servizi ed esecutori di lavori ‘virtuosi’, in quanto non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, oltre che un interesse alla celere conclusione dei contratti pubblici aggiudicati, garantita proprio tramite il sistema istituito dall’art. 1, commi 52 ss., della l. n. 190/2012.