Illegittima la tassa di soggiorno se il Comune non è negli elenchi regionali

tassa di soggiorno

Illegittima la deliberazione di un Consiglio Comunale con la quale è stata istituita la tassa di soggiorno di cui all’art. 4, D.lgs. n. 23/2011 a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive presenti sul territorio comunale, ed è stato approvato il relativo Regolamento nonché il modello di dichiarazione trimestrale (entrambi allegati alla stessa delibera).

Il punto di diritto fondamentale ed assorbente ai fini della soluzione della controversia è declinato nel primo motivo di gravame con cui si è dedotto che la delibera impugnata sarebbe illegittima in quanto non sussisterebbero i presupposti di legge in relazione a quanto disposto dall’art. 4 comma 1 del D.lgs. 23/2011.

La norma sopra richiamata dispone che “I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, una tassa di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno”.

Nella deliberazione comunale impugnata si dà atto, nelle relative premesse, che “la Regione Lombardia non ha ad oggi individuato le località turistiche e le città d’arte di cui all’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 23/2011 ai fini dell’applicazione della tassa di soggiorno, lasciando liberi i Comuni di autodeterminarsi in merito”.

La disposizione di cui all’art. 4 comma 1 del D.lgs. n. 23/2011 deve essere letta secondo il cono prospettico dei principi di cui all’art. 23 Cost. che pone la riserva di legge in materia di imposizione di prestazioni patrimoniali.

La riserva di legge costituisce uno dei principi cardine dell’obbligazione tributaria, ponendosi quale guarentigia del cittadino sulle scelte di rilevanza tributaria di una manifestazione di ricchezza; il principio di legalità di cui all’art. 23 Cost. opera quindi sul piano formale, per cui è la legge istitutiva del prelievo tributario che deve disciplinarne gli aspetti fondamentali, individuandone i soggetti passivi (o i criteri per identificarli), il presupposto e la misura del tributo, attraverso l’indicazione dell’aliquota massima o la fissazione dei criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’Autorità chiamata ad applicare l’imposta.

Ciò posto, in relazione alla disposizione di cui all’art. 4 comma 1 del D.lgs. n. 23/2011 è stato condivisibilmente osservato (T.A.R. Firenze sez. I 5 maggio 2017 n. 647; T.A.R. Campobasso 25 luglio 2014, n. 477) che il fatto suscettibile di valutazione economica ai fini dell’applicazione dell’imposta di soggiorno è connesso a una spesa, quella turistica, non avente carattere d’indispensabilità e che costituisce espressione di una manifestazione non meramente fittizia di ricchezza, che trova la propria giustificazione, secondo la giurisprudenza costituzionale, nell’esigenza che i soggetti non residenti nel territorio comunale partecipino ai costi pubblici determinati dalla fruizione del patrimonio culturale e ambientale, anche in funzione di una migliore sostenibilità dei flussi di visitatori e, quindi, in virtù di una vocazione turistica del Comune interessato dall’applicazione dell’imposta, non generica, ma specificamente accertata dalla Regione attraverso l’inserimento dell’ente locale nell’elenco previsto dal ripetuto art. 4 del D.lgs. n. 23/2011 (cfr. Corte Cost. 15 aprile 2008, n. 102, sulla tassa di soggiorno sarda).

Ne consegue che, anche per ragioni di ordine costituzionale, riveste carattere fondamentale l’accertamento dell’effettiva vocazione turistica del Comune nel quale si intenda istituire l’imposta di soggiorno; accertamento che l’art. 4 del D.lgs. n. 23/2011 ha rimesso all’esclusivo scrutinio della Regione (con l’eccezione delle Unioni di Comuni e dei capoluoghi di Provincia per i quali vige una sorta di presunzione di legge), con una disposizione da ritenersi ragionevole e volta a conservare la corrispondenza tra carattere prevalentemente turistico del soggiorno dei non residenti e imposizione tributaria.

Peraltro, l’attribuzione alla Regione del compito di predisporre gli elenchi dei Comuni abilitati ad imporre l’imposta di soggiorno, si inquadra nel riparto di competenze tra Stato e Regioni disegnato dall’art. 117 Costituzione che, nell’ambito della legislazione concorrente, assegna alla Regione il coordinamento del sistema tributario; coordinamento che, nel caso di specie, si realizza attraverso la predisposizione degli elenchi previsti dall’art. 4 citato attraverso i quali la Regione decide quali siano i Comuni che, per vocazione turistica, possono istituire l’imposta di soggiorno.

Ne consegue che la predisposizione degli elenchi regionali non può essere surrogata, come pretenderebbe l’Amministrazione resistente, da qualificazioni del tutto diverse per presupposti e fini quale quelle di cui alla DGR 30 gennaio 2008 n. 6532, assunta in base alla (allora vigente) L.r. 16 luglio 2007, n. 15 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), dunque ben prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 23/2011.

 

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