Revoca in autotutela del permesso di costruire dopo due anni

Illegittimo il provvedimento di revoca in autotutela del permesso di costruire adottato dopo due anni, anche prima dell’entrata in vigore dell’art.21 nonies della legge n. 241 del 1990. Vedi anche qui

permesso di costruire

Il TAR LAzio Roma ribadisce il concetto:

L’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, nel testo inserito dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2), della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha posto limiti temporali all’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione, in particolare prevedendo che “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.

La legge n. 124 del 2015 ha aggiunto, altresì, il comma 2 bis, per cui il potere di autotutela è comunque esercitabile dopo il decorso del termine di diciotto mesi qualora siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.

Peraltro la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è ormai consolidata nel ritenere che il termine dei diciotto mesi non possa applicarsi in via retroattiva, computando anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, “atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa. Si arriverebbe infatti all’irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso.

Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462; negli stessi termini, Consiglio di Stato, Sez. III, 28 luglio 2017, n. 3780).

Tuttavia l’articolo 21 nonies, nel testo vigente prima della modifica da parte della legge n. 124 del 2015, comunque limitava l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con riferimento alla previsione di “un termine ragionevole”, oltre alla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico e della valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Per la individuazione del “termine ragionevole” nei casi non ancora disciplinati dalla novella del 2015, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che il termine di diciotto mesi “non può non valere come prezioso indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell’osservanza della regola di condotta in questione” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625).

Inoltre “la decifrazione della nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione da parte dell’amministrazione, deve essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche” (Consiglio di Stato n. 3462 del 2017).

L’applicazione dell’art. 21 nonies come interpretato dalla giurisprudenza conduce ad un giudizio di illegittimità di un provvedimento adottato due anni e mezzo dopo il rilascio del permesso di costruire, che non contiene alcuna specifica valutazione né dell’interesse pubblico attuale all’annullamento (che non sia quello al ripristino della legalità violata costituito dal rispetto delle norme edilizie del Comune) né della interesse dei privati, i quali hanno ricevuto un provvedimento ampliativo della loro sfera giuridica sul quale hanno fatto specifico affidamento.

Per costante giurisprudenza, infatti, l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto illegittimo dev’essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351, n. 341 del 2017) e grava sull’amministrazione l’onere di motivare puntualmente in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti (Adunanza Plenaria n. 8 del 17 ottobre 2017).

Né può farsi applicazione, nel caso di specie, dell’ulteriore principio affermato dall’Adunanza Plenaria n. 8 del 2017, per cui “la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte“. Il provvedimento di annullamento impugnato si riferisce solo in maniera dubitativa all’erronea indicazione nella documentazione presentata, che evidentemente non è stata oggetto di alcuno specifico accertamento istruttorio; inoltre il medesimo provvedimento impugnato richiama un verbale ispettivo del Comune del 13 ottobre 2011, precedente al rilascio del titolo in sanatoria, che dovrebbe, quindi, avere accertato lo stato dei luoghi in data anteriore al rilascio del permesso di costruire.

 

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